Influenza aviaria, una minaccia persistente

Nonostante sia una vecchia conoscenza, i rischi connessi all'infezione sono tutt'altro che sopiti, tanto da aver spinto il WWF a inserirla nel suo dossier dedicato alla crisi ecologica in atto

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L’influenza aviaria è una vecchia conoscenza. Ma l’infezione sta tornando alla ribalta per la presenza di nuovi focolai in Italia, che preoccupano per le possibili ricadute sugli allevamenti e sulla salute umana. Oltre alla peste suina africana, quindi, un altro virus legato agli animali attira l’attenzione degli addetti ai lavori in questo inizio 2022, come illustrato dal report Toccare con mano la crisi ecologica emesso da WWF. Un’altra prova del fatto che è ora di cambiare passo, pensare di più al benessere degli ecosistemi e alleggerire l’impatto della nostra specie sul pianeta.

L’identikit del virus

Il virus dell’influenza aviaria appartiene alla famiglia Orthomixoviridae e al genere Influenza-virus A. Come è noto, le sue vittime predilette sono gli uccelli, in particolare il pollame e le specie acquatiche selvatiche. Di questo virus esistono poi numerosi sottotipi, identificati in base a due antigeni di superficie: le emoagglutinine e le neuroaminidasi.

L’infezione inoltre si presenta in due forme dalla patogenicità molto differente. Quella a bassa patogenicità è prevalente in natura: il virus infatti ha diminuito la sua pericolosità per aumentare la sua persistenza nelle specie reservoir, massimizzando così la sua diffusione. Negli allevamenti invece si riscontra più frequentemente la forma ad alta patogenicità, che causa la rapida morte dell’esemplare colpito nella quasi totalità dei casi.

A differenza di altre infezioni animali, l’influenza aviaria è una zoonosi che può essere trasmessa dagli animali all’uomo. Il contagio può avvenire in modo diretto attraverso il contatto con uccelli o ambienti contaminati, oppure in modo indiretto tramite cavalli, maiali e cani, ospiti intermedi del patogeno.

Vecchia conoscenza, nuove preoccupazioni

Il primo caso di influenza aviaria è stato registrato in Italia nel 1878. Dopo quasi un secolo di latitanza è poi ricomparsa in Cina nel 1957, diffondendosi nel giro di un anno in tutto il mondo. Ma è dagli anni ’90 che la forma altamente patogenica del virus ha iniziato a colpire più duramente, a causa dell’ingente incremento delle popolazioni di pollame a livello globale. A partire dal focolaio sorto nel 2003 in Corea, infatti, il virus è esploso in tutta l’Asia portando alla morte di 23 persone e circa 100 milioni di volatili.

In Europa l’epidemia peggiore causata dalla forma ad alta patogenicità finora registrata è quella del 2016-2017, con 29 Paesi colpiti e 1207 focolai registrati. Ma l’influenza aviaria non accenna a placarsi. A febbraio 2021, infatti, sette addetti agli allevamenti di pollame sono risultati positivi in Russia, un uomo si è infettato in Inghilterra e, secondo la FAO, a novembre 2021 i focolai a livello globale erano 651.

Non esistono prove della trasmissibilità del virus da uomo a uomo e per questo le autorità hanno definito basso il rischio per la salute pubblica. Tuttavia di recente diverse segnalazioni di influenza aviaria altamente patogenica negli allevamenti dell’Italia settentrionale hanno risvegliato preoccupazioni sopite. A oggi, infatti, l’Italia è il primo Paese europeo per uccelli d’allevamento infetti e il secondo se si contano anche quelli selvatici.

Fronteggiare l’infezione: sì o no?

Ancora una volta sono gli allevamenti ad essere sotto i riflettori. In particolare, le principali autorità scientifiche hanno ormai sdoganato la connessione tra l’emergenza legata all’influenza aviaria e le pratiche di allevamento intensivo. La vicinanza genetica degli esemplari di questi allevamenti, infatti, scelti per la loro efficienza produttiva, fa sì che un virus capace di attaccare anche un solo capo possa facilmente causare epidemie. Se a questo dato aggiungiamo il fatto che nel mondo sono allevati circa 20 miliardi di polli, comprendiamo come la probabilità di diffusione dell’infezione aumenti vertiginosamente.

Le azioni da mettere in campo per contrastare una simile minaccia sono diversificate. Innanzitutto EFSA consiglia di diminuire la densità degli allevamenti intensivi. WWF invece si spinge lungo un percorso più olistico che guarda all’integrazione tra ambiente e salute. L’influenza aviaria in natura, infatti, infetta soprattutto uccelli che vivono nelle zone umide. Questo habitat è fortemente minacciato dalla pressione antropica e la sua alterazione o distruzione porta alla concentrazione degli animali in spazi più stretti, aumentando la probabilità di diffusione del virus. Inoltre, essendo animali prevalentemente migratori, questi uccelli hanno un’ampia capacità di diffondere il patogeno. Difendere il loro habitat potrebbe quindi essere una misura di contrasto efficace.

Ma WWF richiede anche un cambiamento di tipo culturale alla nostra società sempre più affamata di carne. L’eccessivo consumo di questo alimento, infatti, non causa solo problemi diretti alla nostra salute. Rappresenta anche una minaccia ambientale e, in ultima analisi, nuovamente per la nostra salute, attraverso la diffusione delle infezioni.

Influenza aviaria, spillover e COVID-19

Tuttavia in Italia il denaro messo a disposizione dalla nuova Politica Agricola Comune (PAC) a fine 2021 non verrà affatto speso in questa direzione. Anzi. Il nostro Paese ha deciso di incentivare ulteriormente l’allevamento intensivo, mancando così sia l’obiettivo di una mitigazione del rischio di diffusione virale, sia l’occasione di lottare più efficacemente contro l’insorgenza dell’AMR. Gli allevamenti avicoli sono stati infatti esclusi dall’eco-schema dedicato alla riduzione dell’uso di antibiotici.

Eppure l’influenza aviaria sta già dimostrando di essere un virus tutt’altro che statico. Oltre al salto di specie, infatti, esistono già numerosi casi di salto di classe. Oltre a quelli tra gli esseri umani, infatti, sono accertati episodi di mammiferi selvatici contagiati, nello specifico volpi, foche e lontre. Esiste quindi la possibilità concreta che da un serbatoio animale si possa originare una nuova variante del virus in grado non solo di infettare gli esseri umani, ma anche di diffondersi da persona a persona. Ci ricorda qualcosa?

Sicuramente l’emergenza causata da COVID-19 ha portato a mettere in secondo piano altri problemi, tra cui quelli legati all’influenza aviaria. Tuttavia attualmente varianti perfettamente in grado di infettare gli esseri umani con conseguenze potenzialmente più gravi di quelle di Sars-CoV-2 circolano regolarmente negli allevamenti di tutto il mondo. Una minaccia che non può essere messa da parte.

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