Finanziamento a ricerca sul trattamento della linfoistiocitosi emofagocitica

Il trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche è l'unico trattamento in grado di determinare la guarigione dei bambini affetti da HLH primitiva, ma è caratterizzato da rischio elevato di rigetto. Lo studio che si è aggiudicato il premio "Ricerca oltre l'HLH 2021" si propone di individuare metodi diagnostici rapidi e di comprendere i meccanismi del rigetto per minimizzarne il rischio

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Un progetto di ricerca sul trattamento della linfoistiocitosi emofagocitica primaria (p-HLH) cercherà di identificare nuovi marcatori nei liquidi biologici (es. nel sangue) per velocizzare la diagnosi e indagherà il meccanismo di rigetto di trapianto di cellule staminali ematopoietiche per ottimizzare il trattamento stesso.

Questo progetto, di Pietro Merli del Dipartimento di Oncoematologia, Terapia Cellulare, Terapie Geniche e Trapianto Emopoietico dell’IRCCS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, vincitore del premio “Ricerca oltre l’HLH 2021”, come annunciato in occasione del Congresso Europeo di Ematologia – EHA2021, beneficerà di un finanziamento dei costi diretti di 20.000 euro per il primo anno e di ulteriori 25.000 euro (previa verifica del raggiungimento degli obiettivi minimi) nel secondo anno, messo a disposizione da A.I.L.E. Onlus (Associazione Italiana Linfoistiocitosi Emofagocitica) e da Sobi Italia.

La linfoistiocitosi emofagocitica primaria (p-HLH)

L’HLH è una malattia rara del sistema immunitario legata ad una risposta iper-infiammatoria, non in grado di autolimitarsi, con proliferazione incontrollata dei macrofagi. Questo disordine immunitario (tempesta citochinica) porta ad alterazioni cliniche ed ematologiche. In assenza di trattamento, può portare alla morte in poche settimane dall’esordio, solitamente nei primi due anni di vita. In Italia colpisce circa 10 bambini ogni anno.

Il tempestivo trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche è cruciale nel trattamento della linfoistiocitosi emofagocitica primaria. Permette infatti di sostituire il sistema immunitario deficitario con uno sano, portando così la sopravvivenza a 5 anni dei piccoli pazienti al 66%. Il trapianto in questa malattia è tuttavia caratterizzato da un rischio aumentato di rigetto (incidenza del 13%, secondo uno studio dell’associazione italiana di ematologia e oncologia pediatrica).

Pietro Merli spiega che, a differenza del trapianto di organo solido, non esistono terapie efficaci per trattare un rigetto incipiente di cellule staminali ematopoietiche trapiantate. Perciò è fondamentale approfondire i meccanismi che possono concorrere al rigetto.