Guerra in Ucraina e filiera del farmaco

Quali sono le possibili ripercussioni del conflitto sulla supply chain farmaceutica?

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Ci sono molti modi di guardare a una guerra. Soffermarsi sull’aspetto umanitario è la prima, inderogabile, cosa da fare. Immedesimarsi in chi perde tutto è inevitabile per le persone più empatiche e un ottimo esercizio per tutte le altre. Quello economico è poi un altro punto di vista da cui osservare un conflitto a noi così vicino per provare a comprendere quali sono le sue conseguenze. Capire gli impatti di una guerra come quella che sta avvenendo in Ucraina però non è certo semplice e l’elaborazione di diversi scenari si sussegue al ritmo delle notizie che scandiscono l’evoluzione del conflitto. Provare a stimarli può però essere utile per elaborare delle strategie che aiutino, eventualmente, ad affrontarli.

Quali impatti per la filiera del farmaco?

La guerra è scoppiata in un momento particolarmente delicato per l’economia europea e mondiale. Due anni di pandemia hanno destabilizzato equilibri economici di lunga data e le nuove dinamiche erano ancora in evoluzione. Le sanzioni imposte dall’Unione Europea in risposta al conflitto hanno poi ulteriormente complicato un quadro già di per sé allarmante.

Aumento del prezzo del farmaco

La ripercussione più evidente anche per il comparto farmaceutico è l’aumento dei costi, che si traduce in un innalzamento del prezzo finale per il consumatore. Per evitare la difficoltà di accesso ai farmaci che si potrebbe quindi venire a creare e mitigare le conseguenze della guerra sul settore e sui pazienti, EFPIA ha emanato un appello volto all’esclusione dell’intera filiera del farmaco dalle sanzioni. Appello a cui Farmindustria si è immediatamente unita. Nel frattempo però lo scenario è quello dei rincari, con un innalzamento dei costi guidato da diverse direttrici.

Trasporti

L’aumento del costo del carburante ha un’inevitabile ripercussione su quello dei trasporti. Questo rincaro provoca quindi un innalzamento dei costi di distribuzione del farmaco che pesa sul suo prezzo finale, soprattutto in caso di esportazione su lunghe distanze. Ma anche a livello di approvvigionamento di materie prime e materiali di confezionamento. A spiegarlo è Michele Gavino, amministratore delegato della storica azienda italiana produttrice ed esportatrice nel mondo di principi attivi Fis spa, in un’intervista per Adnkronos. Il governo è intervenuto per cercare di calmierare il prezzo di benzina e gasolio, ma la sua azione è stata solo parzialmente efficace.

Energia

Sempre Gavino evidenzia anche l’importanza dell’aumento dei costi dell’energia, di primaria importanza per un’industria dagli elevati consumi come quella farmaceutica. L’utilizzo di ingenti quantità di energia elettrica, ma anche di gas, rende le industrie farmaceutiche molto suscettibili ai rincari previsti a causa del conflitto. Un altro fattore che potrebbe andare a pesare sul prezzo del prodotto finito.

Materie prime

Anche le dinamiche di approvvigionamento delle materie prime potrebbero cambiare e causare un cambio nei prezzi. Le difficoltà legate al reperimento di alcuni ingredienti provenienti dalle aree colpite dalla guerra potrebbero infatti spingere le industrie a rivolgersi a fornitori provenienti da altre zone. A prezzi differenti. Come sottolinea infatti Gavino, spesso esistono fornitori alternativi provenienti anche dall’Unione Europea, che vendono però i loro prodotti a un costo più alto.

Approvvigionamento materie prime

Ma il problema legato al reperimento delle materie prime non è solo economico. A volte infatti le aziende hanno una reale difficoltà a trovare sul mercato ciò di cui hanno bisogno. Gavino porta gli esempi del palladio e dell’ammoniaca, materie prime largamente utilizzate dalla sua azienda e provenienti principalmente da Ucraina e Russia.

In questo caso i fornitori alternativi ci sono, ma all’aumento del costo legato al loro posizionamento geografico si aggiunge il rischio di un collo di bottiglia. Un fornitore che vede improvvisamente un aumento esponenziale dei propri clienti potrebbe infatti non riuscire a soddisfarli tutti. Inoltre si rischia un ulteriore aumento del prezzo dovuto questa volta all’impennarsi della domanda.

Esistono poi anche effetti indiretti sull’approvvigionamento di materie prime farmaceutiche dovuti alla carenza di ingredienti non strettamente connessi a questo settore. Russia e Ucraina ad esempio sono i principali produttori al mondo di olio di girasole. Le aziende che lo utilizzano, scontrandosi con la sua carenza o con l’aumento eccessivo del suo prezzo, potrebbero andare in cerca di alternative, guardando ad altre piante dai semi oleosi, come la soia. Ed ecco che materie prime ad uso farmaceutico come le lecitine potrebbero non essere più così semplici da reperire o così a buon mercato.

Aziende nelle aree interessate dalla guerra

Un altro aspetto da considerare nell’analisi degli impatti del conflitto è la presenza di aziende farmaceutiche nell’area coinvolta. Come ricorda Gavino, nel 2010 la Russia ha lanciato un progetto volto a rafforzare la presenza farmaceutica in territorio nazionale, a cui le grosse compagnie europee e statunitensi hanno risposto aprendo stabilimenti nel Paese. Per queste aziende la continuità lavorativa potrebbe essere a rischio. Ma i problemi non mancano anche per le imprese ubicate altrove ma legate agli stabilimenti russi e ucraini da accordi commerciali.

L’ipotesi razionamento

Lontana, estrema, ma esistente. L’ipotesi del razionamento di energia, alimenti e altri beni di prima necessità spaventa. Per le aziende farmaceutiche razionamento potrebbe voler significare scegliere cosa produrre, con conseguenze complicate per i pazienti. La priorità infatti l’avrebbero i farmaci e i principi attivi salvavita, a discapito di altre produzioni, certamente meno essenziali ma comunque importanti.